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Che bella giornata di Gabriele Corsi

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Un racconto toccante che esplora il legame tra un figlio e il padre malato, in un dialogo pieno di emozioni.

Gabriele Corsi ci conduce attraverso ricordi e storie che cercano di riannodare un filo spezzato dalla malattia.

Tra passato e presente, l’esperienza del servizio civile in un manicomio svela un destino comune, colmo di sensibilità e amore.

Lasciati travolgere da questa storia intensa che parla al cuore e scopri la bellezza dei legami autentici e profondi.

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La recensione di newslibri.it

“Che bella giornata” di Gabriele Corsi è un’opera che tocca profondamente le corde dell’anima. In questo racconto, l’autore esplora la complessità delle relazioni tra padre e figlio, affrontando il tema delicato della memoria, del tempo che passa e di come i legami umani possano essere messi a dura prova da eventi inesorabili come la malattia. Corsi ci offre una narrazione emozionante, intima e coinvolgente, che non può lasciare indifferenti.

La storia ruota attorno a un dialogo a senso unico: un figlio che visita il padre anziano, la cui mente è stata consumata da una malattia che cancella i ricordi giorno dopo giorno. Il padre, che non riconosce quasi più il figlio, sembra distante, assente, come se fosse fisicamente lì, ma mentalmente altrove. Tuttavia, il figlio continua a parlare, a raccontare, cercando di colmare quella distanza, con la speranza che le sue parole riescano a raggiungere il cuore di un uomo che non sembra più essere presente.

Il tema della perdita, non solo fisica ma mentale, è centrale nel racconto. Il padre rappresenta una figura che sta lentamente scomparendo, e il figlio, attraverso il suo racconto, cerca di rievocare ricordi che possano riportare alla luce frammenti del passato. La malattia del padre diventa una metafora potente della fragilità della vita e della memoria. Corsi, con delicatezza e maestria, ci mostra quanto sia difficile accettare la decadenza di una persona amata e come, nonostante tutto, il legame affettivo continui a esistere, anche quando sembra impossibile comunicare.

Uno degli elementi chiave del racconto è il tempo sospeso tra padre e figlio. Il figlio si chiede quanto tempo servirà per raccontare la vita che è rimasta in sospeso tra loro. È una domanda carica di significato, che riflette il desiderio universale di recuperare ciò che è stato perduto, di ritrovare un contatto che sembra ormai irraggiungibile. Le parole del figlio, piene di amore e di tenerezza, rappresentano un tentativo disperato di recuperare quel legame, di tessere un filo invisibile che possa unirli ancora una volta.

In questo contesto, Gabriele Corsi introduce un elemento narrativo interessante: il figlio decide di raccontare al padre un episodio del suo passato, legato al periodo in cui svolse il servizio civile in un manicomio, una “casa per mattacchioni”. Questo ricordo, che il figlio non aveva mai condiviso apertamente con il padre, diventa un punto di svolta nella narrazione. Non è solo un semplice racconto, ma un modo per offrire al padre un’esperienza vissuta, un pezzo di vita che entrambi, in qualche modo, avevano lasciato da parte.

Il manicomio diventa quindi un luogo simbolico, abitato da menti perse, che riflette lo stato attuale del padre. I due mondi, quello del passato del figlio e quello presente del padre, si intrecciano, creando un parallelo tra le vite spezzate di allora e quella che il padre sta vivendo ora. Attraverso questo racconto, il figlio sembra trovare un modo per collegarsi al padre, per riconnettere due esistenze apparentemente separate da una barriera invisibile.

Corsi riesce a trasformare questo dialogo in un’esperienza universale, in cui molti lettori possono riconoscersi. La narrazione è ricca di sensibilità e di empatia, e affronta con delicatezza temi complessi come la malattia mentale, la memoria e il senso di perdita. Le parole sono scelte con cura, e ogni frase sembra essere carica di significato, in grado di evocare emozioni profonde e durature.

Uno degli aspetti più toccanti del libro è la capacità di Corsi di far emergere i sentimenti nascosti dietro la quotidianità. Il figlio, che si sforza di mantenere viva la connessione con il padre, rappresenta una figura di grande forza e resilienza. Nonostante il dolore e la frustrazione che derivano dall’incapacità di comunicare pienamente con il padre, il figlio non smette mai di cercare un modo per riconnettersi. Questo aspetto riflette la determinazione e la speranza che spesso accompagna le relazioni familiari, anche nei momenti più difficili.

Il racconto è arricchito da una riflessione sul destino, come se l’esperienza del passato del figlio fosse stata una preparazione inconsapevole per affrontare il presente. Il servizio civile nel manicomio, vissuto in gioventù, diventa una sorta di preludio al rapporto con il padre malato, come se quel passato avesse fornito al figlio gli strumenti per comprendere meglio la condizione del padre e per affrontare con maggiore consapevolezza il dolore della perdita.

In conclusione, “Che bella giornata” è un racconto che parla al cuore. Gabriele Corsi, con uno stile semplice ma profondo, ci conduce in un viaggio emozionante tra passato e presente, tra ricordi e silenzi, tra amore e dolore. È una lettura che lascia il segno, che ci invita a riflettere sulla fragilità della vita e sull’importanza di coltivare i legami affettivi, anche quando sembra che tutto sia perduto. Una storia che, pur nel suo dolore, riesce a trasmettere un messaggio di speranza e di amore incondizionato. 

 

 

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